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Depuratore mai entrato in funzione, il Comune di Castellaneta deve restituire i fondi

Comune di Castellaneta Comune di Castellaneta

La Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, non ha fatto il miracolo: il Comune di Castellaneta dovrà restituire alla Regione 2 milioni e 175 mila euro ricevuti a fine anni ’90 per la realizzazione di un depuratore.

A quasi tre anni esatti dalla sentenza di primo grado, e con in mezzo l’intervento della Regione per un ulteriore finanziamento che ne garantisse l’attivazione, la storia di questo impianto mai entrato in funzione segna l’ennesimo capitolo. Con un paradosso, che è proprio legato al ruolo che la Regione Puglia ha avuto in questi ultimi anni.

L’impianto fu finanziato dalla Comunità Europea a fine anni ‘90 e terminato nel 2002, pur non entrando mai in funzione per problemi connessi al recapito finale delle acque (non disperdibili semplicemente nel terreno, insomma) e al modello di gestione. Abbandonato e vandalizzato, senza che nessuna delle amministrazioni succedutesi negli anni se ne preoccupasse, finì per attirare l’attenzione dell’Ufficio controllo e verifica politiche comunitarie, facente capo alla Presidenza della Regione Puglia, che a novembre 2013 chiese la restituzione delle somme malversate.

Il Comune si oppose all’ingiunzione, perdendo in primo grado nel 2016, ma nel frattempo avviò con la Regione un’interlocuzione che si concretizzò nel riconoscimento di un finanziamento di 1,9 milioni di euro per la realizzazione di un impianto per il riuso e l’affinamento delle acque depurate. Proprio nel 2016, l’assessore regionale ai Lavori Pubblici Giovanni Giannini, partecipò a un convegno sul tema del riuso delle acque, nel quale fu affrontato anche il tema dell’impianto mai avviato. Nel 2017, arrivò la firma del disciplinare per la costruzione del nuovo impianto, per il quale (parola del sindaco Giovanni Gugliotti) si attendono i pareri propedeutici all’avvio dei lavori.

Sulla questione è più volte intervenuta l’opposizione consigliare, in particolare il M5s che anche in questa occasione non ha evitato di rilevare l’esempio di cattiva amministrazione portato dalla giunta Gugliotti e certificato da “una procedura di controllo effettuata dalla Regione, durata anni, documentata anche fotograficamente, nel corso della quale il Comune è rimasto silente, inerte e acquiescente”.

La condanna in appello, peraltro, non fa altro che confermare quel che lo stesso Giannini rispose ai due consiglieri regionali pentastellati, Tony Trevisi e Marco Galante, quando a giugno 2016 scrisse che il Comune di Castellaneta “è chiamato comunque a completare la procedura di restituzione del finanziamento a suo tempo acquisito, secondo quanto stabilito dalle competenti strutture regionali responsabili dell’attuazione e controllo sui pregressi programmi comunitari”. Conferma, questa, anche del paradosso: la Regione da una parte chiede indietro i soldi utilizzati per realizzare un impianto, dall’altra ne concede altrettanti per realizzare un’opera che ha bisogno del primo per funzionare.

Sul destino dell’iter giudiziario il Comune non si è ancora espresso, anche perché trattandosi di tribunale civile e non amministrativo vi sarebbe ancora un terzo grado di giudizio da celebrare. Nel frattempo, ai 10mila euro di spese legali cui fu condannato in primo grado il Comune, se ne aggiungono altri 20mila per l’appello.

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