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MAURIZIO PERDICCHIO | RICERCATORE

MAURIZIO PERDICCHIO | RICERCATORE MAURIZIO PERDICCHIO | RICERCATORE | © n.c.

Ph.D. ovvero Doctor of Philosophy: questo è Maurizio Perdicchio.
Maurizio, che ha appena varcato la soglia dei 30 anni, è partito da Castellaneta quando di anni ne aveva diciannove. Come molti è andato via per frequentare l'università.

La sua vita professionale è iniziata nel 2006 quando ha conseguito la laurea in Biotecnologie Mediche presso l'Università "La Sapienza" di Roma. Grazie ad un contratto di ricerca, ha lavorato al Dipartimento del Farmaco dell'Istituto Superiore di Sanità. Il suo ruolo, come mi ha spiegato in una delle prime mail che ci siamo scambiati, era quello di "elucidare i meccanismi di resistenza di vari tumori al trattamento chemioterapico". Dopo tre anni il contratto non gli è stato rinnovato e pertanto ha dovuto affrontare un nuovo viaggio, stavolta all'estero e per la precisione ad Amsterdam dove un gruppo di ricerca offriva un dottorato finanziato dall'Unione Europea. Ha sostenuto un colloquio, è stato assunto e da allora vive nella città dei tulipani occupandosi di ricerca nell'ambito oncologico ed immunologico.

Maurizio lavora al VUmc Cancer Center di Amsterdam e fa parte dello steering committee del programma CARMUSYS, una sorta di network che ingloba laboratori di tutta Europa. Vanta inoltre nel suo curriculum diverse pubblicazioni su riviste scientifiche con elevato impact factor come Cancer Research.
È stato difficile parlare con lui senza entrare nello specifico della sua attività di ricerca, data l'affinità tra il suo lavoro ed il mio e per questo vogliano scusarmi i lettori se una delle domande è prettamente e spudoratamente tecnica ma non ho resistito alla tentazione di fargliela!

Di cosa ti occupi ad Amsterdam?
Ho iniziato con la ricerca sul cancro. Prevalentemente studiavo come modulare la risposta del sistema immunitario ad alcuni tipi di tumore come il melanoma o il cancro della mammella. Attualmente però sto indirizzando le mie ricerche in un altro ramo dell'immunologia, quello delle malattie autoimmunitarie. Tra queste, la patologia sulla quale sto concentrando la maggior parte degli sforzi è la sclerosi multipla. Al contrario di quello che si può pensare, il ricercatore non è un "topo da laboratorio". Questo lavoro mi permette di andare in giro per l'Europa partecipando a congressi di immunologia dove, quando possibile, presento i dati dei miei studi. Inoltre qui ad Amsterdam ho anche la possibilità di insegnare agli studenti che vengono nei laboratori per le esercitazioni pratiche.

Tumori: un argomento spinoso. Immunità, proteomica, farmacogenomica: tante scoperte entusiasmanti ma altrettanti fallimenti. In cosa sbaglia la ricerca nella lotta contro le neoplasie? Attualmente ci sono strade poco battute che potrebbero dare maggiori risultati in questo campo?
Non ritengo che vi siano grossi fallimenti nella ricerca. Mi spiego meglio: quelli che chiami "fallimenti" servono a dare informazioni ad altri ricercatori, spunti di ricerca. Servono a far capire che probabilmente una strada è sbagliata, che bisogna studiare una proteina piuttosto che un'altra. Tutto ciò che percepiamo come fallimento è solo il punto di partenza per la ricerca futura. La ricerca di base è fondamentale per arrivare a concepire e concretizzare possibili cure. Ovviamente ci vorranno anni ma io sono fiducioso!

Cosa ti ha spinto a fare ricerca? Qual è l'aspetto di questo lavoro che più ti affascina?
Ciò che mi ha spinto a fare il ricercatore è la voglia di trovare delle soluzioni, delle cure a malattie attualmente fatali. Ma più di questo mi preme migliorare la qualità di vita dei pazienti. Ci sono patologie che riducono le persone che ne sono affette in condizioni di vita davvero poco dignitose! Noi ricercatori non abbiamo un contatto diretto con il paziente ma nel nostro "piccolo" contribuiamo sia con la ricerca di base che con la ricerca traslazionale a migliorare la medicina.

Quali sono le differenze nel modo di fare ricerca e di concepire la ricerca scientifica tra l'Italia e l'Olanda (o più in generale il resto dell'Europa)?
La differenza principale la fanno i finanziamenti. In Italia la ricerca non è valutata né dal punto di vista economico né per il peso che riveste nella società. In Italia si da più importanza ai calciatori ed alle veline. La cultura nordeuropea è più avanzata da questo punto di vista. Viene incentivata non solo la ricerca medica ma anche quella astrofisica, chimica, eccetera. Molti ricercatori vanno via dall'Italia perché vi sono costretti; è una tappa obbligata. Un ricercatore non può vivere solo di gloria e qui il lavoro è retribuito meglio rispetto all'Italia! E poi l'ambiente della ricerca europeo ti aiuta a crescere. È un ambiente internazionale, hai la possibilità di presentare ai congressi, conoscere altri ricercatori, scambiare opinioni ed idee. Ad Amsterdam mi hanno assunto dopo aver letto il mio curriculum ed avermi sottoposto ad un colloquio. Non ho dovuto partecipare a nessun assurdo concorso "all'italiana".

Il tuo futuro è ad Amsterdam o sogni come ogni ricercatore di andare negli States dove i finanziamenti alla ricerca sono cospicui ed i comitati etici molto più flessibili?
Ancora con questo sogno americano? Sinceramente la società americana non la sopporto. Nell'ambito della ricerca negli States c'è molta competizione. Si lavora per pubblicare, in modo da ottenere riconoscimenti e quindi finanziamenti. Secondo me si perde un po' il senso della ricerca. In Europa c'è molta più libertà di pensare. Il mio sogno per il futuro è quello di avere un mio laboratorio di ricerca. Magari in Inghilterra se qui in Olanda non ci saranno possibilità di restare. È anche vero che se mi capita una opportunità in America... mica la rifiuto!

Che effetto ti ha fatto passare dal traffico di Roma alle biciclette di Amsterdam?
Da questo punto di vista ad Amsterdam sto benissimo. Ciò che non mi manca di Roma sono proprio il traffico e l'inefficienza dei mezzi. Amsterdam è vivibilissima, con la mia bicicletta vado dappertutto. È una città fatta interamente da piste ciclabili con semafori, segnaletica e quant'altro. Ho avuto un po' di problemi ad adattarmi all'inizio. Siamo sempre in Europa ma la mentalità è diversa da quella italiana. Gli olandesi sono gentili ma freddi, hanno la loro vita e le loro amicizie per cui è un po' difficile entrare nella loro cerchia. Dopo le difficoltà iniziali però, ho capito come sono fatti e loro hanno capito come sono fatto io. Adesso ho un sacco di amici olandesi con cui esco spesso, ma anche un sacco di amici di altre nazionalità.

Ricordi il giorno in cui hai lasciato Castellaneta?
Ho lasciato Castellaneta nel 2001 per trasferirmi a Roma. Ricordo il giorno in cui ho salutato i miei: c'è stato un istante in cui mi sono visto proiettato nel futuro. Mi sembrava di compiere un passo enorme che adesso, con il senno di poi, ho ridimensionato molto. Ricordo ancora quando ho salutato gli amici; sembrava che stessi partendo al fronte, lacrime a non finire! Ho vissuto dei bellissimi momenti nel periodo del liceo per cui mi sembrava di lasciare la mia vita per andare incontro al nulla. All'epoca Roma mi sembrava un altro mondo. Ad esempio non sapevo come muovermi, a stento sapevo dell'esistenza della metro! Roma però mi ha permesso di aprirmi perché è una città cosmopolita mentre io arrivavo dal paese con la mia mentalità provinciale. Devo dire che ho vissuto moltissime esperienze nel periodo romano.

Torni spesso a Castellaneta?
Due volte all'anno. A Natale ed in estate. A luglio è il mio compleanno e mi piace festeggiarlo con la mia famiglia.

Cosa significa per te la parola "casa"?
Bella parola! Significa un posto dove ti senti a tuo agio, dove ti puoi rilassare, ti puoi confidare, dove trovi te stesso e ti alieni dal resto del mondo. Un posto dove invitare qualche amico a cena o semplicemente a bere un caffè.

Cinque cose di Castellaneta che metteresti in valigia e porteresti con te.
Il cibo di mia madre, la gravina, gli amici, quella che io chiamo la "freschezza provinciale", il mare.

Marilia Fico per ViviCastellaneta



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