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Il duro sfogo di un'infermiera massafrese «Ho il Covid ma non sono un'appestata»

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«Si, ho il Covid-19».

Ha esordito in questo modo, in un post pubblicato su Facebook, una giovane massafrese infermiera a Villa Genusia, la residenza di Marina di Ginosa, balzata nelle ultime settimane agli onori della cronaca perchè definita con cognizione di causa un vero e proprio focolaio Covid-19.

Uno sfogo social, quello della giovane risultata positiva al virus, scaturito dal chiacchiericcio montato ad arte, e senza alcun fondamento, nei suoi confronti.

«Sono giorni che si mormora sul mio conto e volevo dare delle risposte - ha affermato -. Sono un'infermiera e i rischi del mestiere sono anche questi, sapevo di dover stare attenta e che sarebbe potuto capitare anche a me, ma quello che non sapevo e che non mi aspettavo è la cattiveria gratuita della gente.

Il mese prossimo compirò 25 anni, ho l'età dei vostri figli, nipoti, fratelli, cugini eppure non ho ricevuto umanità da molti di voi; quello che mi avete riservato è il trattamento di un'appestata: sguardi colmi di sdegno, mi avete additata, colpevolizzata, infangata con le vostre malelingue. In una delle ultime frasi infelici che mi sono sentita dire è che mi auguravano addirittura la morte.

Mi dispiace che trascuriate che il pericolo è dietro l'angolo per tutti, perciò vorrei dare un consiglio: anziché parlare a sproposito tappatevi la bocca con le mascherine che portate al braccio o sotto il mento.

Cercate di avere rispetto per chi non è stato bene fisicamente ne mentalmente (sono chiusa in camera mia da 24 giorni dato che i miei familiari sono tutti negativi) e che spera di poter guarire presto per uscire da casa e sentirsi di nuovo libero.

Nonostante tanta gente ignorante, vorrei ringraziare chi, invece, mi supporta e mi è vicino con messaggi e chiamate. Grazie per la stima che mi riservate.

Vorrei solo aggiungere che non dovete avere paura di me, quando i 2 tamponi che dovrò fare risulteranno negativi io sarò guarita, abbiate paura dei mostri che siete perché per quello non c'è cura».

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