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ROMOLO LORETO | ARCHEOLOGO

ROMOLO LORETO | ARCHEOLOGO ROMOLO LORETO | ARCHEOLOGO | © n.c.

Indiana Jones diceva "noi non seguiamo mappe di tesori nascosti e la ics non indica mai il punto dove scavare". E allora cosa fa esattamente un archeologo? Per cercare di capirci qualcosa, ne ho incontrato uno vero senza borsalino né frusta. È Romolo Loreto, castellanetano residente a Napoli.

Romolo ha conseguito la laurea magistrale in Archeologia presso l'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale". Sempre a Napoli ha intrapreso la carriera universitaria prima come vincitore di Dottorato di Ricerca in Archeologia e poi come titolare di un assegno di ricerca presso il Dipartimento degli Studi Asiatici dell'Orientale. Attualmente è professore a contratto per l'insegnamento di Archeologia e Storia dell'Arte del Vicino Oriente nella stessa Università.

Già da studente ha collaborato a quasi tutte le missioni italiane a Tamna e Baraqish nello Yemen.
Dietro la sapiente guida del professor Alessandro de Maigret, suo tutor nella preparazione della tesi di laurea, ha partecipato alle prime campagne di scavo italiane a Dumat al Jandal fino a diventare nel 2011 Direttore della prima Missione Archeologica Italiana in Arabia Saudita.

Posti esotici, viaggi avventurosi, scoperte entusiasmanti ed il pericolo costantemente dietro l'angolo. È proprio da qui che vorrei iniziare, esaminando l'aspetto più romanzato di questa professione e così, senza girarci troppo intorno, gli chiedo:

A Castellaneta gira voce che, durante una delle tue spedizioni, tu sia stato sequestrato da una tribù yemenita. È la verità o è solo una leggenda metropolitana?
Dipende da chi legge l'intervista. Scherzo, nessun rapimento! Ho ricevuto soltanto inviti a casa di locali a cui non ho potuto dire di no. Nessuno di questi inviti si è rivelato un'imboscata. Gli yemeniti sono molto ospitali, generosi e sono molto contenti della nostra presenza. Qualche anno fa fu rapito un gruppo di turisti italiani da una tribù che chiedeva la costruzione di un ospedale e la liberazione di alcuni di loro, detenuti in condizioni disumane. Per noi archeologi non c'è alcun problema; siamo lì per lavoro e soprattutto portiamo lavoro assumendo operai locali. L'importante è evitare alcune zone pericolose ed avere dei piccoli accorgimenti. Ricordo che quando andavamo a Sana'a a prendere i soldi per le paghe, tornavamo con due macchine affinché nessuno sapesse su quale delle due fossero i soldi ed evitare così spiacevoli inconvenienti. L'ultima campagna nello Yemen risale al 2010. Adesso è tutto bloccato perché in quei territori c'è Al Qaeda.


I tuoi studi da subito ti hanno portato ad interessarti della civiltà sud arabica del Vicino Oriente. Cosa ti ha affascinato di questa civiltà?
Una delle motivazioni è stata il fatto che il Vicino Oriente è una delle zone meno esplorate dal punto di vista archeologico. Nello Yemen ad oggi è stato riportato alla luce solo 10% dei siti archeologici. Possiamo considerarlo l'ultimo paradiso dell'archeologia. Ci sono molte città che sono come tante Pompei sud arabiche e noi stiamo cercando di recuperarle. Da subito mi ha affascinato lo Yemen per la sua posizione geografica. È una lingua di terra a sud della Penisola Araba, molto isolata. Nonostante questo, gli yemeniti erano carovanieri e viaggiavano per chilometri attraverso il deserto; grazie a questo sono riusciti ad entrare in contatto con grandi civiltà come quelle dei fenici e dei romani. Inoltre lo Yemen è la terra della regina di Saba, aspetto che trovo molto intrigante. Durante il periodo universitario, quando ho studiato lo Yemen antico, mi hanno incantato foto di posti meravigliosi e questo ha fatto crescere la mia passione per la civiltà sud arabica. Anche l'Arabia Saudita è ricca di moltissimi siti archeologici da riportare alla luce. Ci tengo a precisare che la nostra è la prima missione archeologica in Arabia Saudita.


Tuo docente e mentore è stato il professor de Maigret, scomparso due anni fa, per il quale hai anche scritto il necrologio. Qual è il più grande insegnamento che ti ha lasciato dopo anni di collaborazione?
Il professor de Maigret mi ha insegnato ad avere sempre la mente aperta, a non limitare mai i ragionamenti, a pensare sempre in grande. Mi ha fatto capire che per risolvere le problematiche bisogna vederle nel loro insieme senza perdersi nei particolari. Questo insegnamento mi ha aiutato nell'organizzazione della missione in Arabia Saudita, della quale sono Direttore per conto dell'Università degli Studi di Napoli e del Ministero degli Affari Esteri. Mi ha insegnato ancora che è meglio vedere il bicchiere mezzo pieno. Ed infine mi ha insegnato ad avere pazienza e tanta calma. Questo mi ha aiutato ad interfacciarmi con gli arabi. Gli arabi sono molto particolari, hanno i loro ritmi. Lavorativamente parlando, ad esempio, sono disponibili solo la mattina. Noi occidentali invece pretendiamo tutto e subito. Con gli arabi bisogna prima fare una serie di saluti e presentazioni, offrire the e caffè e poi iniziare a parlare di lavoro con molta calma!

Le grandi scoperte in ambito archeologico sono frutto di tanto studio, geniali intuizioni ed a volte anche un pizzico di fortuna. Nella tua esperienza, in che percentuale hanno inciso queste tre variabili?
Nella missione yemenita, è stata una quarta variabile ad incidere maggiormente: l'abilità politica. In quelle regioni si conoscono già le posizioni dei siti per via della presenza di resti di città fortificate con alte mura turrite. Il professor de Maigret è stato abile nel riuscire ad ottenere i siti migliori! Per quanto riguarda l'Arabia Saudita la fortuna ha giocato il suo ruolo perché abbiamo avuto in concessione un sito conosciuto attraverso fonti assire. Lo studio ed il ragionamento, tuttavia, l'hanno fatta da padroni. Abbiamo scelto di scavare ai piedi di un'altura sulla quale sorge un castello islamico. Abbiamo pensato che lì potesse nascondersi l'acropoli di un'antica città. Ciò che abbiamo rinvenuto è un edificio che pensiamo possa essere un tempio o una casa privata con una ricca collezione di ceramiche, oggetti in metallo e tanto altro. Inoltre ci siamo imbattuti in una successione stratigrafica che va dal I sec a.C. fino al XVIII sec d.C. È la prima stratigrafia nell'Arabia del Nord ad abbracciare un arco temporale tanto ampio. Abbiamo ragionato sull'esperienza partendo dalle foto aeree e dalle immagini satellitari che ci hanno mostrato una zona ricca di pozzi antichi che sono tutt'ora attivi. Si sa che dove c'è acqua c'è vita. Tuttavia siamo ancora agli inizi, il lavoro da fare è ancora molto e chissà quanti tesori riporteremo alla luce.
La scoperta archeologica che ritieni in assoluto più importante.

Per me la più grande scoperta non è un tesoro, né un rinvenimento archeologico in particolare ma l'aver capito qual è il momento in cui nasce la città. Per quanto riguarda il Vicino Oriente parliamo del periodo di Uruk corrispondente al 4 millennio a.C. È il momento in cui si passa dalla vita e dall'economia basate su piccoli villaggi, all'urbanizzazione in cui ci si organizza in comunità più grandi. I piccoli villaggi erano soggetti a scomparire, le piccole tribù ad estinguersi. Bastava una guerra o un'epidemia per determinarne la scomparsa. Quando nasce la città, nasce anche un'organizzazione in grado di pensare al sostentamento della popolazione. Infatti è proprio allora che si ha un aumento demografico.

Nel 2010 in occasione di scavi per la costruzione di un gasdotto in contrada Le Grotte nel territorio di Castellaneta, è stata rinvenuta una necropoli. Quanto potrebbe essere importante per Castellaneta, in termini di riscoperta della propria storia ed anche di utili provenienti dal turismo, il recupero di questo tesoro archeologico?
Moltissimo. Questa necropoli è solo un tassello di un patrimonio archeologico ben più grande. Se con un semplice sondaggio per la costruzione di un gasdotto è venuta fuori tutta quella ricchezza, possiamo solo immaginare cosa verrebbe alla luce scavando guidati da un attento studio. Non è la prima necropoli che viene scoperta a Castellaneta. Ce n'è una in contrada La Minerva e ricordo che ne fu rinvenuta un'altra durante la costruzione del Centro Polivalente. Dove c'è una necropoli c'è necessariamente la presenza di un centro abitato. Inoltre le tombe ritrovate risalgono a più periodi storici: ciò significa che c'è stata la presenza una occupazione molto lunga nel territorio di Castellaneta.

Ricordi il giorno in cui hai lasciato Castellaneta?
Era settembre '99. Mi stavo trasferendo a Napoli per frequentare l'Università. Ricordo che il mio primo pensiero fu "che bello, vado fuori!".

Vivi a Napoli ma il tuo lavoro, tra congressi e spedizioni, ti porta a viaggiare molto. Riesci a trovare il tempo per tornare a Castellaneta?
Torno durante le vacanze pasquali e ad agosto. Nel periodo natalizio fino al 2010 sono stato impegnato nelle campagne archeologiche. Da due anni invece torno a casa anche per Natale. Devo ammettere che è sempre un piacere tornare a Castellaneta!

Per te che significato ha la parola "casa"?
Casa è il motivo per cui io viaggio. Se hai un posto dove tornare, il viaggio è piacevole. Ci tengo a precisare che casa per me rimane Castellaneta nonostante da molti anni viva a Napoli.

Cinque cose di Castellaneta che metteresti in valigia e porteresti con te.
Ci sono tre cose di Castellaneta che ho realmente messo in valigia ed portato qui a Napoli: il gagliardetto del '92 che celebra i trent'anni della squadra di calcio del Castellaneta, una sezione di libri su Castellaneta, una foto d'epoca in bianco e nero di Montecamplo sulla quale sono immortalati ulivi e mandorli. Altre cose che metterei in valigia e porterei con me sono le orecchiette ed il mare.

Marilia Fico per ViviCastellaneta

Foto: Romolo Loreto (terzo da sinistra) durante gli scavi di Dumat al Jandal, Arabia Saudita.



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