
Stando in ospedale, si ascoltano tante storie commoventi e talvolta esemplari. Specie di questi tempi, racconti di pazienti e sanitari che rischiano la vita in corsia servono a consegnare a futura memoria il ritratto a tutto tondo di un'emergenza sanitaria senza precenti.
L'episodio che stiamo per raccontarvi fa parte del capitolo "Storie a lieto fine al tempo del Coronavirus".
Quando il fantasma della pandemia, ormai da mesi, ossessiona il sistema sanitario di tutto il pianeta, ci sono luoghi come il San Pio di Castellaneta dove si raccolgono numerose pillole di sanità umana, che nascono e si sviluppano qui, a due passi dalla gravina.
Ma dove si annida, stavolta, il finale lieto e per nulla onrico? Diremmo nel grembo della signora Alessandra, neo mamma di un bambino che ha avuto fretta di nascere in un reparto privo di Unità di Terapia Intensiva Neonatale (UTIN), ma dove "impegno e cuore di chi ci lavora lo rendono il posto perfetto per nascere".
Una gravidanza complessa, quella che la mamma castellanetana ha raccontato alla nostra redazione e in una nota di merito ai primari Del Gaudio e Chinellato, rispettivamente di Ostetricia e Pediatria. La donna, infatti, si è sottoposta a cerchiaggio del collo dell'utero, oltre al fatto che il bimbo fosse podalico.
«Si tratta di tecniche che non tutti i ginecologi possono vantare - ha scritto Alessandra -. Io sarò sempre grata al dottor Antonio Torraco e a tutto il reparto di Ostetricia, che hanno reso possibile il parto».
Ebbene, con un peso leggerissimo e qualche settimana in meno di gestazione, Rocco - questo il nome del bimbo - è diventato il bebè più piccolo mai nato a Castellaneta. Era il 10 aprile scorso.
«Il parto è andato bene - confessa Alessandra -, ma il mio bambino era piccolissimo, iniziavo a temere che dovesse essere separato da me e trasferito altrove, ma Pediatria sapeva di potercela fare, tenendolo sotto osservazione in un incubatore, sotto ossigeno, monitorato con tutto l'impegno».
Ogni volta che gli facevo visita notavo la sua fragilità, ma sapevo fosse in buone mani. Mi sono sentita come a casa - conclude -. Ringrazio anche dell'ospitalità per seguire il mio bambino, che aveva bisogno di rimanere sotto osservazione qualche giorno in più rispetto alle mie dimissioni».
Come si dice? Tutto è bene quel che finisce bene. Gli ingredienti della ricetta, ricordiamo, sono una mamma, un bimbo e una attenta équipe medica, che sgomberano i pensieri dalla conta quotidiana dei morti, dalle immagini delle bare e dalla paura di fare anche le cose più semplici.
Perchè la felicità, come disse Totò, è fatta di attimi di dimenticanza.
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