
Si dice che la lingua italiana sia una lingua meravigliosa, musicale, con un ricco e variegato esercito di parole. Però il problema sono gli italiani, cioè siamo noi e il nostro uso della lingua a creare mostri.
Manco a farlo apposta, in questa estate calda, mi è capitato tra le mani un libro veramente divertente, di quelli che si leggono velocemente. Leggero, spassoso, ma maledettamente vero in cui si parla di parole abusate e insopportabili. Sono le “parole orrende”, ovvero quei neologismi e quelle locuzioni terribili che vengono usate in maniera errata ma molto di moda. Parole, forme verbali, avverbi e frasi fatte che si estendono a macchia d’olio nel parlar comune come una sorta di contagio!
In principio fu un ATTIMINO. E qui io ho già l’orticaria, perché quella breve frazione di un tempo definito, l’attimo appunto, è già un diciannovemiliardesimo di secondo, ed è ovunque: al supermercato (un attimino lo scontrino), al bar (un attimino, lo zucchero!), in banca (un attimino, una firmetta qui), in edicola (un attimino, il resto), ecc...
Per non parlare di un altro mostro sacro di questo spaventoso livellamento lessicale: ASSOLUTAMENTE. Si tratta di un avverbio che dovrebbe rafforzare ciò che accompagna e invece noi che facciamo? Lo usiamo sempre da solo, per sostituire un sì o, peggio, il no.
Poi venne l’espressione usata più impropriamente dall’italiano, non medio ma di tutti i ceti: PIUTTOSTO CHE. Giusto un esempio: “Mi piace il pesce piuttosto che la carne e le uova” intendendo che mangeremmo indifferentemente il pesce, la carne e le uova. Invece “piuttosto che” ha soltanto valore avversativo e non comparativo. Meditiamo....
Poi ci sono i mitici PERALTRO e QUANT’ALTRO, i Dioscuri piazzati ovunque, buttati in mezzo alla frase o alla fine di essa, come il ketchup e la maionese in pizzeria.
C’è da dire che la politica fa e ha fatto molto per questo settore, foraggiando il vocabolario con parole vuote, fumose e senza significato. Un esempio? COMPETITIVITÀ, RIFORME, DERBY IDEOLOGICO, MODERNIZZAZIONE, SOCIETÀ CIVILE, PAESE REALE e che più ne ha più ne metta.
E da bravi italiani non poteva mancare la gastronomia. Al supermercato tutto può diventare OFFERTABILE. E quante volte abbiamo sentito o letto dell’INSALATONA!?! Che sarà mai? Una insalata con foglie grandi quanto quelle dell’albero delle banane o una grande coppa con dentro tutto l’orto possibile? O ancora l’APERICENA, che poi sarebbe un “aperitivo rinforzato”, cioè quel piatto non unico per chi non ha i soldi per andare al ristorante. Diciamola tutta, l’apericena è un modo elegante e chic per darsi un tono in un momento di crisi collettiva, economica e lessicale.
Tuttavia l’apoteosi si raggiunge con il linguaggio aziendale. L’aziendalese è un voler nobilitare i numerosi barbarismi che affollano ormai il nostro parlare quotidiano (briefing, break, brunch, jobs act, start up, multitasking): “Con l’implementazione dell’exit-strategy facciamo dell’open research la nostra mission, con feedback senz’altro positivi, open schedule veloci e monitoring ravvicinati”. Se prima avevo l’orticaria ora sono in shock anafilattico!
In questo ambito grandi colpe hanno la TV e i giornalisti. Questi ultimi hanno molta responsabilità perché, spessissimo, sono creatori arditi di parole nuove (ACCADIBILE), di sgrammaticature proverbiali (COME SEI MESSA?) con l’intento di dare fluidità alla lingua. Questi mordi-e-fuggi linguistici sono responsabili di un deterioramento lessicale grave in un quadro già patologico d’incurabile depressione culturale.
Però qui non si tratta di conoscere le regole ferree della nostra grammatica o di stare attenti alle bestie nere come congiuntivi, passati remoti di verbi irregolari, accenti e alcuni plurali che ci portano in veri e propri campi minati, ma di ragionare su lemmi, verbi e “accessori” che, solo perché “l’ha detto la televisione” o Tizio o Caio, non è detto siano corretti.
La lingua può cambiare nel corso del tempo, può sicuramente evolvere e globalizzarsi perché anche le parole hanno una storia, ma l’antilingua no. A tale proposito Calvino scriveva: “La motivazione psicologica dell’antilingua è la mancanza di un vero rapporto con la vita, ossia in fondo l’odio per se stessi”.
Quindi non facciamo gli snob, non facciamo finta di fare i radical chic. Il modo che abbiamo di parlare e la ricchezza del nostro vocabolario ci dicono chi siamo e soprattutto da dove veniamo.
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