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Asilo politico negato, giovane migrante si suicida a Castellaneta Marina

Castellaneta Marina Castellaneta Marina

Un peso enorme da sopportare, per un animo già fragile. Amadou Jawo così, a 22 anni ha deciso di togliersi la vita, impiccandosi al cornicione del terrazzo della casa dove abitava, a Castellaneta Marina, lontano dal suo Gambia.

Lunedì pomeriggio, poco dopo pranzo, il suo corpo senza vita è stato ritrovato dai coinquilini, altri ragazzi africani (tra i quali anche un connazionale) che dividevano con lui una villetta. Inutili i tentativi di rianimazione da parte del 118

Era un ricorrente, Amadou, aveva un permesso di soggiorno temporaneo fino a marzo 2019 assegnato proprio in attesa del ricorso presentato dopo il diniego alla domanda di protezione internazionale. Funziona così: le commissioni territoriali valutano le domande, se vi è diniego si presenta ricorso tramite legale e, quasi contestualmente, viene riconosciuto un permesso di soggiorno di 6 mesi. Amadou aveva seguito l’iter quando era a Surbo, in provincia di Lecce, in un centro del sistema Sprar. La domanda era stata respinta la prima volta a dicembre del 2016, secondo fonti del Viminale, e successivamente il ragazzo aveva fatto ricorso per il quale il giudice si era riservato la decisione il 12 ottobre scorso.

Nel frattempo, però, è cambiato quasi tutto nel sistema di accoglienza. Con il cosiddetto “Decreto Salvini”, infatti, dal 24 settembre è stato abolito l’istituto della protezione internazionale, proprio quello nel quale Amadou sperava per rimanere in Italia. Il 22enne, insomma, aveva capito che stava attendendo qualcosa di irrealizzabile: pur vincendo il ricorso, non avrebbe ottenuto la protezione perché non più prevista dall’ordinamento. «Avrebbe potuto sperare solo nell’asilo politico o nella protezione sussidiaria – racconta un’attivista dell’associazione Babele, che ha dato notizia della morte di Amadou –, istituti molto specifici che richiedono requisiti particolari che lui comunque non possedeva».

Si immaginava già come un “fantasma”, quindi, non riusciva a darsi pace. Almeno è quel che hanno raccontato i suoi amici agli operatori del centro di accoglienza straordinaria di Castellaneta Marina, che lui frequentava. Amadou era già affetto da problemi psicologici, una depressione dovuta con molta probabilità a un’esperienza di vita già difficile, nonostante la giovane età, ma la sua preoccupazione per il futuro arrivava anche dalle notizie di cronaca, dalla paura che la riforma del sistema potesse costringerlo a finire in un ghetto.

«I ragazzi sono molto più informati sulle vicende nazionali – ha spiegato il responsabile dell’associazione Babele Enzo Pilò, che gestisce anche il centro di Castellaneta Marina –, seguono l’evoluzione delle norme con molta più attenzione di quanto accadesse pochi mesi fa. E questo provoca molto nervosismo tra di loro, sono molto agitati».

Senza protezione, senza permesso di soggiorno, Amadou non avrebbe potuto avere un lavoro regolare, assistenza sanitaria, un contratto d’affitto: sarebbe rimasto illegittimamente sul suolo italiano, oppure espulso. Una condizione che avrebbe determinato quello che nell’ambiente viene definito il “fallimento migratorio”: «Questi ragazzi subiscono violenze indicibili – ha spiegato Pilò –, ma è anche vero che le loro famiglie investono tutto nella possibilità che possano realizzarsi altrove, magari risollevando le sorti dell’interno nucleo familiare. Tornare in Africa così era per lui probabilmente impensabile».

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