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Covid, testimonianza di un palagianellese: vi racconto la mia esperienza con il "lupo nero"

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«Un nemico subdolo, un mostro… come gli incubi dell’infanzia».

Comincia così la testimonianza di un nostro lettore palagianellese, appena guarito dal Covid.

«Ecco - ha confessato -, finalmente, ho scoperto l’identità di quel “lupo nero”, di cui ho sentito nominare quando ero bambino.

Non è stata una passeggiata, perché il problema è anche psicologico: capisci subito che un nemico invisibile si è impadronito del tuo corpo, non lo conosci, non sai cosa ti possa accadere e sempre con la sensazione di poter peggiorare da un momento all’altro.

Quando dopo 11 giorni la febbre e la tosse non accennano a diminuire, nonostante i farmaci, il senso di angoscia è pressante, ma allo stesso tempo ho ringraziato Dio perché ero a casa e non in un letto d’ospedale!

Pensavo, infatti, con regolarità, a chi stava peggio di me: mi ha aiutato psicologicamente e mi ha fatto capire che potevo sopportare, lo dovevo anche a loro!

Alcune notti mi sembravano interminabili, facevo bagni di sudore, come un maratoneta della 50 chilometri… Ma non vincevo nulla, sentivo solo tanto freddo.

Ho continuato tutta la terapia possibile a casa e, ovviamente, mi ritengo fortunato di averlo potuto fare, nonostante sapevo bene che i farmaci alleviano i sintomi, ma non combattono il virus.

Poi, ad un tratto, arriva quella incredibile sensazione che il lupo si stia allontanando, che non è riuscito ad assestare i colpi per sbranare e scappa, forse sconfitto dai farmaci, dal sistema immunitario, dagli anticorpi… o forse semplicemente dall’amore.

Sì, ho la conferma che senza amore non possiamo fare nulla ed io posso affermare di averlo avuto in tutti questi giorni dentro di me, ma soprattutto attorno a me.

Grazie a tutte quelle persone che sono state vicine a me e a mia moglie, grazie a chi ogni giorno non ha mai fatto mancare una telefonata o un messaggio, un sostegno, un aiuto… Tutta questa bellezza rende meno pesante la convivenza con il virus e ti fa sentire meno solo e poi, importante, fa anche dimenticare la delusione dei messaggi che non sono mai arrivati e dell’indifferenza di chi non riconosce più i battiti del cuore.

Oggi, posso dire che ci si sente davvero un po’ come rinascere ed è meraviglioso poter pensare al “dopo”, cioè riordinare le emozioni, i progetti, i sentimenti…perché è andata bene, il malessere è stato sopportabile, è vero, ma mi è stata data, comunque, la possibilità di poter riscoprire il vero sapore della felicità!».

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