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Uno scienziato tra noi: Giovanni Guglielmi, non tutti sanno che...

Il dottor Giovanni Guglielmi veterinario a Castellaneta Il dottor Giovanni Guglielmi veterinario a Castellaneta

Comincia una nuova fase di questa difficile situazione. Per il momento abbiamo capito che #iorestoacasa è l’atteggiamento migliore per combattere il Coronavirus (si tratta di fare proprie, come stiamo facendo, le misure di contenimento).

Ma l’aspetto più seccante è che non esistono al momento terapie specifiche. Ci vorrebbe un farmaco (ma si sta provando) mentre una nuova prospettiva viene dal plasma dei pazienti guariti (ma ci vogliono molti donatori). La soluzione ideale è il vaccino sul quale si sta lavorando, ma ci vorrà parecchio tempo per arrivare alla messa in commercio. Sarà una ricerca lunga, come quella avventurosa e pionieristica che nei primi anni del secolo scorso portò avanti il veterinario Giovanni Guglielmi.

Era il padre di Rodolfo Valentino ma qui lo ricordiamo per meriti suoi personali. Perché era un valido professionista ma anche uno scienziato. Alternava alla routine del lavoro di veterinario, soprattutto controllo dei generi di consumo in rapporto alla pubblica igiene, la ricerca sulla epidemia in corso ai suoi tempi: la malaria.

Non erano virus allora, ma parassiti endoglobulari del sangue, sui quali raccoglieva analiticamente dati epidemiologici arrivando alla conclusione che la malaria degli animali era trasmissibile agli uomini. Pubblicava queste sue scoperte in pamphlets di grande risalto nel mondo scientifico, poiché la sua osservazione avveniva sul campo cioè nella pineta tra Castellaneta e Ginosa marina, ambiente tipico di “località ricche di specchi d’acqua con vegetazione palustre adatte alla deposizione delle uova e sviluppo delle larve di Anopheles”.

Nell’ultima sua pubblicazione, uscita postuma, nel 1906 (Un terzo caso di malaria equina), analizza il caso di un cavallo baio scuro, di otto anni, che apparteneva a un signore di Massafra il quale lo utilizzava per il carretto e non era mai stato in zona malarica.

Il cavallo in questione – scrive il dottor Guglielmi - fu venduto ad un pescivendolo di Ginosa il quale “ogni sera scendeva presso la spiaggia del mare Jonio attraversando luoghi palustri e si fermava alla distanza di un chilometro dalla stazione ferroviaria di Metaponto. Ivi, nelle prime ore del mattino, acquistava il pesce dai pescatori e lo trasportava a mezzo del predetto animale sui mercati dei paesi vicini. Il cavallo perciò restava colà la notte in aperta campagna senza ricovero. Qui – continua il Guglielmi – è importante notare che la località in parola è classificata tra le zone di malaria, ed è situata a circa cinque chilometri distante dal Bradano, ove in alcune annate domina sotto forma enzootica la malaria dei bovini. Dopo otto giorni di servizio il cavallo si ammalò”.

E’ vero, la storia ci dice che quel cavallo non si salvò, ma la notizia positiva è che la malaria da tempo non è più una malattia endemica.

Presto (si spera) potremo dirlo anche per il Coronavirus.

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