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Le Quarantore a Castellaneta

Le Quarantore a Castellaneta Le Quarantore a Castellaneta

La pratica devozionale delle Quarantore a Castellaneta si conclude oggi (18 febbraio) con l’esposizione del Santissimo nella cappella del Seminario. La contemplazione del Santissimo è stata assicurata in modo continuativo dai confratelli e dalle consorelle delle confraternite.

Ci sono esperienze che hanno il compito di favorire l’ascolto del sacro. Contemplare il Santissimo significa donare il proprio sguardo e la propria attenzione alla presenza cristica nell’eucarestia. Questo rapimento mistico consente di ascoltare la parola, che diventa pane da spezzare nel cuore di coloro che vivono l’empatica esperienza.

Il sottofondo, in taluni momenti dei canti gregoriani, gli addobbi floreali e le quattro candele che, come liturgia vuole, sono state poste a coppia a destra e a sinistra dell’ostensorio eucaristico  posto sull’altare sono parte sostanziale del processo contemplativo. Non si tratta di un’esperienza vetusta, anzi  essa quest’anno ha particolare rilievo, in quanto è un anno di guerra.

Le Quarantore cominciarono ad essere praticate a Milano nel 1527, nella chiesa del Santo Sepolcro, per iniziativa  del frate agostiniano Antonio Bellotti di Ravenna, quale pio esercizio per scongiurare le calamità belliche del momento.

I fedeli di Castellaneta in quell'anno di guerra si ritrovano intorno al Santissimo con la chiarezza che esso è la fonte della pace. La contemplazione è unione mistica che lega al corpo di Cristo sostanza spirituale di ogni essere umano. Cercare la pace e praticarla significa riscoprirsi fratelli in Cristo, solo così le barriere che dividono i singoli come i popoli e favoriscono la conflittualità possono cadere per ritrovarsi nell’unità.  

Non è un caso che i fedeli abbiano partecipato a realizzare l’addobbo floreale, in tal modo l’altare è sentito come parte di un processo di partecipazione e condivisione del popolo dei fedeli. La partecipazione rende l’altare meno anonimo, contribuisce a renderlo parte integrante nella vita dei fedeli.

La pace può essere realizzata, se la comunione con il Santissimo non è semplice gesto formale, ossequio ad una formula liturgica mutila di senso e significato, ma diviene pratica quotidiana di pace. Si può imparare la solidarietà e a superare il confliggere che conduce ad uno stato di guerra perenne, solo se l’ascolto della parola, mentre lo sguardo contempla il Santissimo trasforma “il cuore di pietra in cuore di carne”. La presenza numerosa dei fedeli e la disponibilità delle confraternite che vi è stata alle Quarantore dimostra che Castellaneta è città di pace, la cerca e la pratica nelle sue forme plurali, e specialmente, sa cogliere il valore formativo ed educante di riti antichi che tanto hanno da donarci, se si è disponibili a superare rigidità e pregiudizi del nostro tempo che necessita di radici profonde per imparare ad  orientarsi nel presente.

La trasfigurazione del Santissimo è il chiarore della pace che invita i fedeli a farsi testimoni di conciliazione donativa in un momento storico di guerra. Il 18 febbraio la pratica devozionale si conclude, essa ricorda le Quarantore in cui Cristo fu nel sepolcro; anche a noi è dato di uscire dai nostri sepolcri se impariamo a guardare l’invisibile. Non si può che ringraziare coloro che hanno donato il loro tempo affinché questa pratica ringiovanisca ogni anno.

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