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CastStory: Le attività micro industriali di una volta

CastStory: Le attività micro industriali di una volta CastStory: Le attività micro industriali di una volta | © n.c.

Oggi restano soltanto dei nomi sulla cartografia comunale, ma a metà del secolo scorso erano attività produttive che si affiancavano a quelle agricole.

Facevano parte dell’indotto dell’edilizia che per quanto fosse un’attività contenuta affiancava e diversificava le attività agricole, spesso poco redditizie e qualche volta con intere annate improduttive.

La calcara, cioè il luogo dove si produceva la calce, era al bivio per la Gaudella. Un grande forno, costituito da conci di pietra resistente al calore, praticamente sulla strada, per facilitare il trasporto della pietra calcarea e del legname che veniva utilizzato in grandissime quantità. Per tenere vivo il forno per circa una settimana raggiungendo temperature ragguardevoli alle quali avveniva la trasformazione della pietra in calce viva. Quest’ultima veniva trattata (spenta) con acqua fino a formare una massa pastosa chiamata grassello e pronta per essere venduta. A richiesta il piazzale antistante era usato per preparare la malta mescolando al grassello sabbia o tufina, utilizzando la pala.

Ma soprattutto l’estrazione del tufo nelle cosiddette cave dava luogo ad una attività complessa e di larga diffusione. Attività che è riconoscibile, una volta esaurito il materiale da cavare, in ampi buchi nel fianco di promontori tufacei con le pareti di fondo caratterizzate da segni geometrici, verticali e orizzontali, lasciati dalle macchine da taglio.

Perché l’attività di cava diventò conveniente negli anni cinquanta quando si passò all’estrazione meccanizzata con utilizzo di seghe circolari e parallele che avanzavano su guide a binario. I motori elettrici erano alimentati da gruppi elettrogeni e i tagli verticali e orizzontali erano paralleli consentendo di realizzare blocchetti di materiale di misura variabile predeterminata. Ci voleva molta esperienza e una particolare competenza soprattutto quando iniziava il taglio, con l’asportazione del cappellaccio superiore e la costituzione del primo piano orizzontale di taglio.

Le cave più note erano nella parte meridionale dello zoccolo premurgiano (dove oggi è la discarica) ed erano le cave Ciulli.

Sei fratelli sei, dopo estemporanee peregrinazioni (anche in Africa e in sud America) alla ricerca di un lavoro stabile, decisero che la loro America era a Castellaneta, su quei cocuzzoli di calcarenite a sud dell’abitato. Misero insieme le loro conoscenze, i loro mezzi e soprattutto il loro impegno e fecero crescere l’azienda di estrazione tufi. Impegnandosi direttamente nelle operazioni necessarie: il taglio con le macchine, il trasporto dei blocchetti con carriole, il carico sui mezzi di trasporto e la distribuzione. Un lavoro non sempre agevole perché fatto sotto il sole cocente (acqua da bere non doveva mancare mai) e in un ambiente dove l’aria era irrespirabile perché satura di polvere di tufo sprigionata dalle lame taglienti (tutta la testa andava protetta con panni).

Vito Pasquale, Michele, Giuseppe, Lorenzo, Orazio e Adolfo (in una famiglia di nove figli) facevano parte di una generazione influenzata da abitudini spartane e che considerava il lavoro come un dovere. Sinergicamente impegnati, ciascuno nel settore di propria competenza, avevano dato vita a una vera azienda: estrazione, vendita, trasporto nei cantieri, manutenzione delle macchine da taglio e da trasporto, contabilità e amministrazione. La commercializzazione avveniva affidandosi a ben due punti vendita (uno vicino all’ex passaggio a livello e l’altro in via Arco Calderai) ma anche alla piccola pubblicità della stampa di allora.

Così i sei fratelli, capaci di adattarsi ai nuovi meccanismi imposti dal progresso, avevano fatto crescere l’attività (iniziando con la carriola per il trasporto di minuteria e materiale) fino ad arrivare con un proprio stand alla annuale Fiera del Levante come Azienda Ciulli.

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