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CastStory: Le mura antiche e la memoria storica

CastStory: Le mura antiche e la memoria storica CastStory: Le mura antiche e la memoria storica | © n.c.

Un grande castellanetano, Nicola D’Alagni (1865-1943), personaggio ecclettico, apprezzato educatore e dotato di solida formazione culturale, nei suoi manoscritti (poi commentati da Mons. Donato Colafemmina in una pubblicazione del 1980) non perdeva occasione per ricordare l’importanza della memoria storica. Convincimento questo maturato nella sua lunga esperienza di maestro di scuola elementare.

Spesso lamentava che la storia di Castellaneta era ignorata non solo nelle scuole ma soprattutto dagli stessi cittadini. Da qui la necessità di rendere palesi a tutti le memorie cittadine più desuete, le ricerche inedite e i ricordi personali legati soprattutto all’Ottocento.

A questo proposito ricordava di essere stato testimone della demolizione di uno degli ultimi tratti delle antiche mura cittadine (tratto retrostante la casa Speziale, oggi palazzo Loreto).

In effetti l’esito finale delle operazioni di demolizione, avvenute nel periodo centrale dell’Ottocento, è ciò che constatiamo oggi e cioè la scomparsa dell’idea di città fortificata, idea che possiamo recuperare soltanto da un bel disegno pubblicato nel 1703 dall’Abate Pacichelli (ma esiste anche il disegno delle carte Rocca, anteriore di oltre un secolo).

L’antica cinta muraria nasceva dal giardino del palazzo del Principe (oggi palazzo Baronale) e, scendendo dal pendio Caporlando, costeggiando vico Forte, arrivava alla porta Piccola, una delle due porte della città.

Le mura continuavano in direzione dell’attuale vico del Muro, costeggiando i giardini Mastrovito, Serra e Lazazzera (poi edificati). Vicino al forno Scapati (diventato un ristorante) fu ricavata nei primi anni dell’Ottocento la Porta di Mezzo mentre le mura continuavano costeggiando via Muraglia dove i giardini e i cortili sono definiti nella parte posteriore dalle mura originali. Ma c’è di più: in corrispondenza dello slargo detto il Rotolone ci sono ancora le tracce di una delle torri. Da uno dei giardini si nota la sagoma del basamento a scarpa (cioè il tronco di cono che definiva la base sulla quale si innestava la torre cilindrica) eseguito con materiale lapideo più resistente.

Le mura continuavano in direzione torre Campanella e salivano poi verso la porta principale della città (all’inizio dell’attuale via Vittorio Emanuele) per terminare sul ciglio della gravina grande.

Va detto poi che certamente è esistita (almeno) una cinta muraria precedente a quella che vediamo raffigurata. Inglobava un’area urbana molto limitata che dalla piazza del “castello”, nella parte più orientale verso la gravina si estendeva fino all’estremità occidentale costituita dall’attuale piazza.

Un pianoro, delimitato da spalti e pendii più o meno ripidi, che ospitava il centro demico, organizzato intorno alle sedi dei poteri forti e cioè il “castello” e le sue pertinenze per quello civile, la Cattedrale e la residenza del Vescovo, per quello ecclesiastico.

Sì, ma quando fu ampliata l’antica cinta muraria?

Molti indizi portano a ritenere che ciò sia avvenuto alla fine del secolo XV, in un momento politico tranquillo, nel quale la nostra città dipendeva direttamente dalla corona. Nel 1480, l’episodio della conquista di Otranto da parte dei Turchi e della conseguente strage, aveva messo a nudo la debolezza difensiva delle città del Regno, e dette inizio ad un programma di ristrutturazione di molti baluardi difensivi, tra cui Taranto e probabilmente la nostra città. La costruzione di una cinta muraria più ampia, oltre ad arricchire l’Università per il mutato valore delle aree comprese, offriva agli abitanti nuove opportunità, determinando, conseguentemente, un forte incremento demografico: se nel 1447 a Castellaneta si registravano 490 fuochi, nel 1532 raddoppiarono divenendo 988, per salire a 1169 nel 1545. Con l’avvertenza che per “fuoco” si intendeva un gruppo familiare di almeno quattro persone.

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