L’ultimo feudatario a Castellaneta fu Carlo III De Mari, discendente da una famiglia di banchieri genovesi che avevano acquistato il feudo nel 1665.
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I De Mari dopo aver consolidato, qualche anno prima, la loro presenza nei feudi di Acquaviva delle Fonti e Gioia del Colle, con l’acquisto di Castellaneta unificavano un immenso territorio che andava dalle estreme propaggini della provincia barese fino al mare Jonio. L’anno successivo fu a loro riconosciuto il titolo di Principi di Acquaviva e si stabilirono nel vecchio castello di Acquaviva delle Fonti, trasformandolo in un'elegante dimora (Palazzo De Mari).
Il 2 agosto 1806 fu promulgata da Giuseppe Bonaparte la legge di abolizione della feudalità, un provvedimento che rispondeva ad una effettiva esigenza di rinnovamento delle antiche strutture socio-politiche.
Il feudo di Castellaneta era in quel momento affidato a Carlo III De Mari, ricordato dalle cronache storiche come uomo di pochi scrupoli nonché “vessatore del popolo” e titolare di non poche controversie con il Comune, la Mensa Vescovile ed il Reverendo Capitolo.
Fu forte la reazione di tutti i feudatari di fronte alla perdita dei loro diritti-soprusi e così fece il nostro De Mari accendendo contenziosi legali di fronte alle commissioni feudali. I diritti del Comune di Castellaneta in quella occasione furono ben difesi dal nostro concittadino Pietro Todisco.
Carlo III De Mari morì il 5 gennaio 1825 in Gioia del Colle dove si era ritirato con la seconda moglie Guglielma Ruffo Scilla e i suoi due figli, Giovan Battista e Maria. Lasciava ai suoi eredi alcune proprietà burgensatiche (cioè personali), la più importante delle quali era il palazzo Baronale, venduto da sua figlia signora Maria de Mari, duchessa di Carinari, alla Curia diocesana di Castellaneta nella persona del Vescovo pro tempore Monsignor Lepore, il 2 giugno 1829.
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